Atterrati, aeroporto di Addis Abeba: piedi sul suolo, sole sulla testa, aria sopraffina nei polmoni e profumi di una terra calcata prima di ogni altra dall’impronta dell’uomo. Con Pietro e Riccardo siamo in Etiopia. Davvero un mondo a parte già di primo acchito. Si mormora che il governo stia producendo notevoli sforzi per portare la nazione ai massimi livelli continentali, dove per diversi motivi svettano da sempre Egitto e Sud Africa. Ma non tutto è oro ciò che luccica. Di fatto la rete internet è controllata dal governo; esattamente come il regime vigente in Cina ne limita l’uso ai propri cittadini. E proprio con i cinesi, guarda caso, il governo etiope ha stretto accordi commerciali, sociali ed economici.
Nessuno di noi riesce a inviare o ricevere file-immagine tramite WhatsApp, e ciò sembra confermare il tam-tam… ma ci può essere vero progresso in una nazione che limita anche una sola delle libertà fondamentali dell’uomo?
Perlustriamo il quartiere dove soggiorniamo: povertà sparsa a manciate ovunque, odore di peperoncino macinato, per Pietro l’essenza che profuma l’intera Africa. Per le sporche e a tratti nauseanti vie, di tanto in tanto l’olfatto è risollevato anche dall’aroma del caffè, arabica tra le più pregiate al mondo: tostato, macinato, riscaldato, filtrato e servito, buono, da dimenticare perfino che te lo preparano in bar…acche.
Direi che il profumo della polvere color testa di moro aggiunto a quella rosso-fuoco, caratterizzi fortemente l’Etiopia.
Durante gli spostamenti osserviamo stupiti un anziano etiope, non certo benestante, che distribuisce una moneta a ciascun mendicante sul marciapiede.
Poi, lunghe file di persone aspettano in coda sul ciglio della strada chissà cosa. Passati oltre, vedo la fila inghiottita dallo sportello laterale di un minivan-taxi. Non si riesce a capire come i dodici posti omologati, possano contenere non meno di venti persone per volta.
28 gennaio. Attraversiamo l’anima dell’Etiopia, dalla sterminata RIFT Valley fino all’incantevole giungla, oltre 370 km a sud della capitale. Abbiamo ammirato scorci di foresta degni di essere annoverati nel patrimonio dell’umanità e della natura.
Mi sto africanizzando anch’io.
Qui tutto sembra in perfetto equilibrio, tutto appare in ideale simbiosi con le leggi della natura. Trae giovamento persino il mio obiettivo: quasi tutte le scene sono composizioni fotografiche già pronte, mi basta solo mirare e spingere il pulsante: click.
Guardo spesso le immagini catturate qui, specie dei bambini.
Come in Uganda, una luce straordinaria attraversa i loro grandi occhi neri. E la loro intensa espressione resta inalterabilmente candida davanti all’obiettivo. Sono bambini e ragazzi di una bellezza straordinaria, in alcuni casi sconvolgente.
In loro si scorge una profonda dignità (che evidentemente è fattore genetico a queste latitudini), la determinazione, il sogno e la speranza di riuscire a ritagliarsi un futuro migliore di quello che il “sistema” gli ha scientemente riservato.
Posso affermare che l’Africa inietta nelle vene dosi di vitalità e raccapriccio, meraviglia e terrore. Induce a considerare: ci mancherà sempre qualcosa finché non la vivremo.