“Start spreading the news, I’m leaving today
I wanna be a part of it, New York, New York.
These vagabond shoes are longing to stray
and step around the heart of it, New York, New York
I wanna wake up in that city, that doesn’t sleep…”
NY… NY riesce a sorprendermi, a trasmettere qualcosa di diverso da ciò che mi aspettavo e che per altro riscontro: la città sembra pervasa da un’energia che percepisci, ma non ti spieghi; da un ottimismo, probabilmente infondato, con cui affronti ciascun momento della giornata come se qualcosa potesse davvero accadere, da un momento all’altro. Qualcosa in grado di cambiarti la vita repentinamente.
So bene che quattro giorni sono davvero pochi per formulare un giudizio attendibile su una metropoli così variegata. D’altronde necessitiamo biologicamente di almeno mezza settimana per smaltire sei ore di jet lag, condizione mentale opportuna per scalfire la superficie dell’apparenza, tramite una più obiettiva scansione della nuova realtà…
Frenetica e ordinata al contempo, sicuramente non schizofrenica, piuttosto pragmatica, competitiva non solo negli
affari, epicentro del potere finanziario mondiale (chiaramente in grado di condizionare quello politico), elegante persino, progettata e tesa verso l’alto, non
soltanto in senso architettonico, NY è la prima megalopoli da me visitata, paradossalmente a misura d’uomo.
Sarà pure diffusamente cinica, ma ho desunto dagli incontri e ho notato dalle piccole cose, una gran voglia di dare e ricevere umanità. Sembrerebbe insensato ma, ritengo che, la spiegazione possa ricercarsi nel fatto che, essendo il più grande contenitore multietnico al mondo, giocoforza abbia congeniti gli anticorpi razziali necessari a tenere sotto controllo il morbo del cinismo.
Il newyorkese non è indifferente al prossimo, o perlomeno non mi è apparso tale. Egli sembra semplicemente propenso a perseguire i propri obiettivi, a realizzare i propri sogni, le proprie aspirazioni.
NYC potrebbe essere davvero una femme fatale che ti seduce per illuderti o per rubarti l’anima?
Il rischio va corso, perché in ogni caso sembra capace di apprezzare il talento e di condurti più in alto delle aquile del Chrysler Building, uno dei suoi simboli.